dal 18 al 25 Maggio 2023
ore 18:00

Studio Buccia
Via dei Fienaroli 40 – Trastevere

Match

di Emanuele Dragone
a cura di Mattia Cucurullo

Affrontarsi e non affondare, nell’alta marea di un conflitto interiore della portata scenografica. Match di Emanuele Dragone è un’opera vitale come una performance psico-biografica, un’installazione che esplora abissi interiori, rovesciando un fondale di dolore nel contesto espanso e corale di Studio Buccia. Il ring diventa una tela bianca, una metafora del fare artistico. Questa arena del conflitto è un campo instabile dove le tensioni più violente possono esplodere. L’occasione di un incontro, un match decisivo al contempo desiderato e temuto. Il terreno di scontro dove affrontare un nemico (o forse un amico?) interiore, un’occasione unica per guardarsi oltre lo specchio della paura, per rompere con le immagini di sé che incatenano in uno stato di guerra perenne. Il confronto, tuttavia, si fa sempre più sfumato e contradittorio, fino a rendere paradossale la ragione dello scontro, proiettando l’esito finale in uno scenario virtuale. Quest’ultimo non è il regno dove tutto è possibile, ma quello dove l’impossibile diviene improvvisamente visibile, e forse pensabile.

Studia Buccia ospita una mostra che riflette sul tema dell’identità, dove i processi di identificazione restano aperti. La dimensione anarchica della buccia, quella dello scarto rispetto alla norma di canoni culturali e di ruoli sociali prestabiliti, rappresenta il resto inassimilabile di una umanità irrequieta, oltre la mascherata delle convenzioni e il rovescio delle sue trappole. La ricerca di Dragone prende forma attraverso un’esplorazione onirica (ma non sognante) di Venezia dove ha avuto luogo la sua maturazione artistica e personale. Plasmati dal ricordo e dalla fantasia, gli scenari fiabeschi di una città da cartolina vengono trasfigurati in un susseguirsi di sequenze dal sapore cinematografico, rese simili in questo processo ipnotico a vestigia fantasmatiche. L’immagine agonistica della lotta – quasi un ologramma – volteggia nell’aria, enorme e monumentale. L’animazione macchinosa in istanti di mesta spettacolarità evoca uno scontro titanico dalle reminiscenze nipponiche. Ma al posto di Godzilla e delle sue mostruose controparti vi sono varianti antropomorfe di un sé che si riscopre identico e dissimile nella rovina di una città in perenne decadenza, anacronistico residuo del suo glorioso passato. Come in un vecchio film, immagini di un machismo esasperato raccontano di ruoli decaduti. L’infanzia del cinema, con i suoi eroi che esibiscono una pomposa virilità, incontra quella dell’artista, con gli eroi infantili del wrestling che raccontano una storia di grandeur che affonda nell’ambiguità.

L’acqua, motivo ricorrente della poetica di Dragone, è un flusso incessante che esprime le conflittualità di una marea di aneliti segreti e tensioni sospese. Tale magma fluido (ri)emerge infrangendosi contro i marmi e i laterizi di una coscienza alla deriva. È un’avventura ai confini delle terre emerse questo scavo nei propri abissi, come quelle dei documentari di Jacques Cousteau che ispirano Dragoni. La Venezia interiore di Dragoni è una città fluttuante, dove il vascello dell’arte traina sogni e traumi da una regione all’altra della psiche, un percorso emotivamente accidentato. Così, travolto da questo mare in tempesta, l’esibito machismo di un lottatore si rovescia nel travestitismo, nell’androginia e nel feticismo, mentre un assalto brutale vira impercettibilmente verso un voluttuoso abbraccio. In questa moltitudine di gesti e di pose, la rappresentazione generale si frammenta e si sfoca, metaforizzando una storia conflittuale di estro e inibizione, desiderio e paura, dolore e accettazione. Livida, lacerata ma vincente, l’identità che emerge alla fine di questo match è resiliente come una buccia, rivendicando dai margini di un ring o di un canale veneziano l’epicità della propria vicenda intima e rivoluzionaria.