4 – 5 – 6 Maggio 2023
ore 18:00

Studio Buccia
Via dei Fienaroli 40 – Trastevere

"S'è rifatta la calma più in là"

di Giulia Di Pasquale – a cura di Mattia Cucurullo

Le forme si compongono e si scompongono, ma la materia si decompone, dischiudendo tesori marcescenti. L’arte accoglie la sfida, lottando con e contro l’entropia, affermando l’esigenza di un impossibile e paradossale riciclo. Il gesto di Giulia di Pasquale è caduco come un panneggio caduto, metafora di una figura umana che lentamente degrada verso la terra creatrice e distruttrice. Nella decadenza estatica la pittura si sveste e si riveste di maschere e stracci che sono il corredo regale della sua incongrua gloria. Cento colori, mille sfumature virano all’infinito in questo movimento erratico, un crescendo spiraliforme che si fomenta come all’interno di una conchiglia rotta. La musica della pittura non rimbomba più da nessuna parte – contro le sue pareti interne – si riflette nella moltitudine confusa e orgiastica delle cose.

Studio Buccia inaugura una mostra che, riflettendo sul tema dello scarto, del rifiuto inassimilabile, accoglie le energie disperse dal caos primordiale della creazione per convertirle in risorse spendibili per la ricerca pittorica. Pittorica, nonostante tutto e oltre tutto, perché al di là l’eterogenea dimensione mediale delle creazioni dell’artista, la pittura ricopre e tutto come un’avvolgente marea, fagocitando un mare di slanci ed intenti, frammentati nel turbinare delle forme e della materia. L’elemento della “buccia”, nelle sue molteplici declinazioni, lo riscopriamo in questa sede nella traccia materiale di un’esperienza che ha depositato insieme alle ceneri di un evento passato anche la scintilla di un movimento vitalistico che si rigenera, sopravvivendo a sé stesso. Un movimento inesausto, a ben vedere, che può essere ripreso e convertito nell’istante decisivo della concrezione plastica, dove il processo artistico che interroga le ragioni del fare creativo si connette con le regioni caotiche dell’esperienza estetica, davanti all’espressione sublime della natura umana.

“Nelle opere di Panneggio, la tela discende assopita e ci restituisce una Figura che, insieme alla prima, si ripiega su sé stessa, generando delle forze che si muovono simultaneamente in due direzioni diverse: verso il basso, verso la morte del corpo e la frantumazione della materia, e verso l’alto, la trascendenza; è solo attraverso la morte che si rinasce, anche se sotto un’altra forma, l’Aura slitta, dando vita ad un’opera di panneggio.”

Afferma l’artista, che nel corso della propria ricerca riprende la metafora della spiaggia nera di Edouard Glissant per raccontarci attraverso la materia delle immagini e delle sculture l’oscura profondità celata dietro tale fascinazione. La controparte geografica di tale figura filosofica è il paradiso tropicale di Le Diamant in Martinica, la cui bellezza nasce da un indefesso ciclo distruttivo che sconvolge continuamente l’ecosistema locale, creando una paradossale condizione di armonioso equilibrio. La spiaggia nera, intesa come un ricettacolo di tesori e rifiuti imprevisti, provenienti da un orizzonte lontano, è un luogo di frontiera, sospeso fra mare e terra. Il confine che si costituisce fra questi due ordini naturali

è sempre sfumato, effimero; costituito dalla bianca linea creata dalla spuma marina, pennellata porosa che alternativamente separa e unisce, abbraccia e abbandona. Fra questo confine – a noi prossimo – e quello impalpabile che dive mare e cielo, c’è la massa fluida e turbinosa di un universo mutevole che è anche quello artistico. Una distesa piatta e immobile come un perfetto specchio d’acqua: un volto; un intrico conflittuale di tensioni che si sciolgono: il compromettersi della fisionomia, della riconoscibilità.

Umori caduchi, testa, nella sua fastosità dorata, mostra il roseo idillio di un’immagine di sé giubilante, mentre il riconoscimento sfuggente di Testa rivela un’interiorità perturbante, il rovescio di un volto riconoscibile, laddove Il volto è una rovina. Testa riassume la continuità nella discontinuità che la riflessione pittorica di Di Pasquale evidenzia, un conflitto aperto di forze. Studio Buccia, per sua implicita vocazione, incarna tale tensione progettuale, offrendo uno spazio espositivo che accoglie l’insieme delle opere come relitti marini alla deriva, che conservano la traccia stratificata di un’eredità artistica che si placa solo oltre la tempesta, in una pace che è possibile intravedere come al termine della poesia di Montale che da il nome alla mostra:

sotto l’azzurro fitto
del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai: ché tutte le cose pare sia scritto:
“più in là”.

Mattia Cucurullo